Il primato della Bce è messo in discussione ancora una volta.
Proprio in questi giorni, il ministro italiano dell’Economia Roberto Gualtieri, e una folta schiera di accoliti, insistono con la favola del MES invocabile dall’Italia senza l’applicazione delle rigorose condizionalità previste.
Ricordiamo brevemente che Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES – European Stability Mechanism, ESM) è stato istituito mediante un trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico della UE, nel 2012. Infatti la modifica dell’art. 136 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea statuisce: “Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.
La sua funzione fondamentale è dunque concedere, solo sotto precise e severe condizioni che non lasciano spazio alcuno al concetto di solidarietà, assistenza finanziaria ai paesi membri che trovino gravi o temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato del credito.
In tali casi, il MES interviene con prestiti o linee di credito precauzionali dovendosi nell’ipotesi distinguere tra “la linea di credito semplice” (Precautionary Conditioned Credit Line, PCCL) e quella “a condizionalità rafforzata” (Enhanced Conditions Credit Line, ECCL).
La PCCL è riservata ai paesi che rispettino le prescrizioni del Patto di stabilità e crescita, che non presentino squilibri macroeconomici eccessivi e che non abbiano problemi di stabilità finanziaria. In altre parole, devono esibire un debito pubblico sostenibile (con un rapporto debito/pil entro il 60%) e non avere problemi di solvibilità bancaria.
La ECCL, invece, è destinata a quei paesi meno fortunati che non rispettino pienamente i
suddetti criteri e ai quali pertanto vengono richieste rigorose misure correttive per rientrare nei parametri che la UE si è voluta liberamente dare (e che, dunque, per inciso, sono sempre rivedibili).
Attualmente i Paesi che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 60% sono: Grecia, Italia, Portogallo, Belgio, Cipro, Francia, Spagna, Austria, Slovenia e Irlanda.
Gli interventi del MES vengono autorizzati solo dopo che il Paese richiedente abbia sottoscritto una lettera di intenti o un protocollo d’intesa negoziato con la Commissione Europea.
In genere vengono richieste riforme specifiche, mirate ad eliminare o quantomeno mitigare l’effetto dei punti deboli dell’economia del Paese richiedente. Il MES prevede in particolare interventi in tre aree:
• consolidamento fiscale, con tagli alla spesa pubblica per ridurre i costi della Pubblica
amministrazione e migliorarne l’efficienza, e parallelamente aumentare le entrate attraverso
privatizzazioni o riforme fiscali;
• riforme strutturali, con l’adozione di misure di stimolo volte alla crescita, alla creazione di posti di lavoro e alla competitività;
• riforme del settore finanziario, con misure destinate a rafforzare la vigilanza bancaria o, se necessario, a ricapitalizzare le banche.
Per evitare che un Paese in difficoltà possa far ricorso all’aiuto del MES e ai suoi programmi di sostegno senza però procedere ad alcun tipo di riforma o intervento strutturale, è stata prevista l’ipotesi di una ristrutturazione del debito pubblico.
Per parlaci fuori dai denti, l’Italia, come tutti gli altri paesi che hanno un rapporto debito/Pil oltre il 60%, potrebbe in teoria far ricorso al MES aspirando all’ECCL, la cui concessione non è subordinata in maniera automatica alla ristrutturazione del debito. Ma che tuttavia resterebbe pendente come una «spada di Damocle» nel caso in cui si rifiutasse o non fosse capace di intervenire per correggere in modo serio la propria situazione macroeconomica.
Il MES ha sede in Lussemburgo, è gestito da un “Consiglio dei Governatori (Board of
Governors)” composto dai Ministri delle finanze dell’area euro ed è presieduto dal portoghese Mario Centeno, Presidente dell’Eurogruppo.
Il Consiglio assume all’unanimità tutte le principali decisioni (incluse quelle relative alla
concessione di assistenza finanziaria e all’approvazione dei protocolli d’intesa con i paesi che la ricevono). Il MES può operare a maggioranza qualificata dell’85% del capitale soltanto qualora, in caso di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell’eurozona, la Commissione europea e la BCE richiedano l’assunzione di decisioni urgenti in materia di assistenza finanziaria.
Il Meccanismo ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 sono stati versati; la sua capacità di prestito ammonta a circa 500 miliardi. Ricordiamo che l’Italia ha sottoscritto il 18% del capitale del MES per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. La Germania invece contribuisce per il 27% e la Francia per il 20%. I 620 miliardi mancanti possono essere raccolti sui mercati finanziari attraverso l’’emissione di bond.
I diritti di voto dei membri del Consiglio sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi paesi. Germania, Francia e Italia hanno diritto di voto superiore al 15% e quindi possono porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza.
Sic stantibus rebus, se è vero che l’Eurogruppo ha facoltà di negoziare gli accordi più opportuni con i paesi membri, anche quelli meno convenzionali, è pur vero che detti accordi dovranno sempre avvenire nel rispetto del diritto primario europeo e, in particolare, dell’art. 136 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Per cui, nell’ipotesi in cui l’Eurogruppo decidesse di applicare il MES svuotato del dogma delle condizionalità – se ne parla in questi giorni anche con riferimento ad una presunta linea di credito per far fronte alle spese sanitarie causate dal covid19 – chiunque – persona fisica, ente, o istituzione appartenente ad uno dei 27 paesi membri – potrebbe sollevare, presso gli organismi comunitari preposti, la questione dell’illegittimo utilizzo del MES.
La verità è che il suggerimento più importante sinora è arrivato da Mario Draghi, ex presidente della Bce: il MES è uno strumento che deve rimanere legato esclusivamente agli aggiustamenti macroeconomici che spettano a qualsiasi stato che faccia parte dell’Unione Europea, ed è dunque attivabile quando un paese ha necessità di rientrare entro i parametri di bilancio fissati per un (presunto) sano funzionamento dell’Eurozona.
Ma, in tema di pandemia, l’Europa si trova a fronteggiare problematiche e necessità
completamente diverse dalle tematiche care al MES. Essa deve infatti gestire una crisi
dell’economia europea che certamente non è stata innescata da quelle distorsioni di bilancio che invece farebbero scattare l’applicazione del Meccanismo di stabilità.
In altre parole, per fronteggiare la crisi attuale, non possiamo e non dobbiamo preoccuparci di fare aggiustamenti di bilancio. In questo momento i paesi della zona euro devono prepararsi a combattere nemici ben più letali, come la recessione, la rarefazione della liquidità, la perdita dei posti di lavoro, il calo degli acquisti e della produzione.
C’è, in altre parole, necessità di supportare con liquidità immediata famiglie e imprese.
Pertanto, con molta probabilità, l’alleato migliore dei paesi dell’Unione Europea sarebbe in questo momento la Banca Centrale Europea; la quale potrebbe intervenire in aiuto dei cittadini non in ragione dell’applicazione del MES bensì in forza della sua autonoma politica monetaria che prevede la possibilità di utilizzare strumenti ben più efficaci di quelli contemplati dal primo.
In altre parole, l’Eurogruppo dovrebbe tacere e dare la parola a Francoforte del cui ruolo
esistenziale, in caso di inerzia, si avrebbe ragione di cominciare a dubitare.
Ma i tedeschi, e i loro attuali alleati, non intendono concedere questo cambio di passo.
Non dimentichiamo che già tentarono di invalidare il whatever it takes di Mario Draghi
appellandosi persino alla Corte di Giustizia europea dinanzi alla quale invocarono il mancato rispetto dei trattati. Varrà a tal proposito ricordare che, nei sette anni del suo mandato al vertice della Bce, Draghi è stato l’avversario più tenace del MES. Un contrasto sotterraneo ma durissimo, di cui pochi forse sono conoscenza.
Due distinte sentenze della menzionata corte hanno riconosciuto, da una parte, il ruolo e l’utilità del MES in termini di salvaguardia della stabilità dell’eurozona, dall’altra l’assoluta indipendenza della BCE e dei suoi strumenti monetari non convenzionali: prima le operazioni Omt (Outright monetary transactions), poi il Quantitative Easing, l’acquisto di titoli pubblici dei paesi dell’eurozona in difficoltà.
Ma la Corte ha confermato, in special modo, il potere di indirizzo monetario della banca centrale soprattutto in caso di crisi, indirizzo monetario invece non riconosciuto al MES.
In entrambi i casi, a sollevare dubbi di legittimità sull’operato di Draghi davanti alla Corte europea fu la Corte costituzionale tedesca, spinta dal ricorso di 35 deputati della Cdu di Angela Merkel, da sempre ostili a qualsiasi forma di condivisione del debito su scala europea, e perciò favorevoli al Meccanismo.
Pertanto non v’è chi non possa facilmente rintracciare negli ultimi accadimenti sovranazionali il bieco e rinnovato tentativo dei cittadini tedeschi di far gestire inappropriatamente al MES
tensioni in area euro che dovrebbero invece di diritto ricadere nel perimetro di azione della Bce. MES che, incidenter tantum, non contiene rimandi al concetto di solidarietà, che invece è rintracciabile nei trattati istitutivi dell’Unione Europea, e dunque della Bce.
In altre parole, la pressione politica e mediatica di un gruppo di paesi europei economicamente molto stabili sta tentando di strappare inedite situazioni di criticità dalla loro sede naturale di composizione – sede presenziata da una banca centrale per definizione onnipotente e tendenzialmente solidale – per affidarle a meccanismi sine pietas ove vige la legge del (paese) più forte.
La durezza e l’efficacia di questa campagna politica tedesca sono sotto gli occhi di tutti
soprattutto in Italia, dove non passa giorno senza che gli esponenti del Pd (non è un’accusa di parte, è una constatazione), in testa il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, chiedano l’intervento del MES. Una gara di servilismo politico, che sembra mostrare addirittura una certa fretta. E non a caso. Anche la Merkel infatti ha fretta, e vuole che i paesi dell’eurozona decidano sul ricorso al MES prima del 5 maggio prossimo.
Per quel giorno, infatti, è previsto che la Corte costituzionale tedesca debba pronunciarsi di nuovo sulla legittimità del Quantitative Easing della Bce. In caso di pronunciamento sfavorevole, la Germania non sarebbe più tenuta a rispettare tale politica europea ma a seguire il dettato della Costituzione federale, il quale è considerato dai tedeschi prevalente sui trattati europei.
Dunque, quella del 5 maggio sarà una sentenza che potrebbe decidere il futuro della Bce e dello stesso euro: un via libero definitivo al Qe, oppure una bomba devastante.
A cura di Gian Michele, Samy e Massimo Moschella